Nell’estate del 1970, un gruppo di sei disabili e quattro volontari, fra questi don Onelio e don Piergiorgio si recarono a Capodarco di Fermo, dove, in una villa isolata, era già’ sorta, da quasi tre anni, una comunità che ospitava oltre un centinaio di persone, fra disabili e volontari.
I sei disabili friulani, insofferenti della vita spersonalizzante dell’istituto di riabilitazione in cui erano degenti, si erano tenuti in corrispondenza epistolare con la Comunità di Capodarco da quando l’avevano conosciuta, nella primavera del 1969.
L’esperienza comunitaria marchigiana apriva nuove prospettive e si mostrava come valida alternativa assistenziale in contrapposizione all’alienante ed emarginante vita dell’istituto.
Dimettendosi da quest’ultimo, i sei si fecero allora ospitare presso la Comunità di Capodarco: iniziava l’avventura.
Dopo alcuni giorni di permanenza, don Piergiorgio, animatore e sostenitore dell’ideale comunitario, morì improvvisamente, stroncato da un infarto.
Se da un lato, la morte del giovane amico sconvolse il gruppo dei friulani, e parve infrangere il sogno di una comunità in Friuli, dall’altro la notizia del suo impegno e della sua morte, fece dei funerali a Udine, un momento di aggregazione e di stimolo per molti giovani che si recarono in gruppi successivi a Capodarco, quasi a voler continuare quello che lui aveva iniziato.
Durante l’autunno, tutti i friulani tornarono nella propria regione, dopo aver vissuto momenti molto intesi, col proposito di realizzare, nel proprio territorio, una esperienza simile.
L’inverno bloccò ogni iniziativa e di conseguenza i gruppi si disgregarono: tutto pareva finito.
Passati i primi freddi, i disabili, reduci dall’esperienza di Capodarco, si ritrovarono e diedero il via ad incontri sempre più frequenti, ai quali intervenivano in maniera via via maggiore i giovani volontari.
Questi incontri, ai quali parteciparono alcuni esponenti della Comunità di Capodarco, servirono a maturare ideologicamente e a preparare concretamente la struttura della futura comunità. Ben presto si trasformarono in momenti di vera vita comunitaria, in quanto il gruppo si organizzò per la convivenza e cominciò anche a formare la cassa comune, con una prima nota di 470 lire.
Per questo lavoro di preparazione, vennero messi a disposizione tre locali al piano terra dell’edificio ex Istituto "Casa dell’Immacolata" per minori disadattati.
Don Emilio De Roja, responsabile e fondatore della Casa dell’Immacolata, non soltanto ospitò gli incontri iniziali per volontari, ma affidò il locale alla nascente Comunità e si impegnò generosamente ad adattare tutto il pianoterra per l'accoglienza del primo nucleo, abolendo anche le barriere architettoniche.
I lavori di sistemazione cominciarono all’inizio dell’estate 1971, con l’avvicendamento costante di operai e volontari.
Fra questi ultimi si verificò una prima selezione: infatti, quelli che credevano nella Comunità e volevano viverne l’esperienza, si impegnarono a fondo nel lavoro, quelli invece che si riunivano solo per il piacere di incontrarsi, cominciarono a disertare.
La prima spesa comune fu l’acquisto di un usatissimo furgone che serviva al trasporto soprattutto dei disabili in carrozzella e si rivelò indispensabile per il disbrigo di innumerevoli faccende.
Nonostante l’impegno e la buona volontà di tutti, i lavori si protraevano ben oltre la data stabilita.
Il 17 luglio 1971, primo anniversario della morte di don Piergiorgio, venne celebrata l’Eucarestia nella chiesa urbana di S.Quirino, dove il giovane prete aveva prestato servizio come cooperatore ed i suoi genitori continuavano a prestarlo come sagrestani. Durante la celebrazione venne pubblicamente annunciato il nome della Comunità Piergiorgio.
Questa denominazione ha un significato ben preciso: intestando la Comunità a don Piergiorgio, si è voluto che la Comunità e quanti l’avrebbero frequentata si conformassero allo spirito comunitario, da lui intensamente vissuto fino alla morte. Di animo generoso e altruista, aveva una immensa capacità di amare; questo suo grande amore lo spinse non solo a rischiare la vita, ma anche a perderla per il fratello.